Vent'anni dopo l'uscita della prima traduzione integrale delle opere di San Gregorio Palamas, da lui curata, Perrella ritorna sul contributo di questo frate athonita ed Arcivescovo, vissuto a Costantinopoli e Tessalonica nella prima metà del XIV Secolo, insistendo sul contributo essenziale che egli ha dato alla filosofia, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra l'etica e la scienza.
In questo libro il pensiero di Palamas - assieme all'intera riflessione neoplatonica, che egli riassunse nella propria teoria dell'atto increato - viene considerato come una premessa remota e inconsapevole della fenomenologia trascendentale, assieme alle riflessioni di Sant'Agostino che stavano alla base della teoria cartesiana del cogito.
Naturalmente non è facile, per un lettore d'oggi, cogliere che relazione possa esserci fra le astruse tematiche teologiche dibattute nel XIV Secolo a Costantinopoli e le problematiche che siamo costretti ad affrontare nel mondo d'oggi, sempre più determinato dalla tecnologia, dall'informazione e dai media. Ma per capirlo basta sapere che Palamas contestò radicalmente quel relativismo occidentale dal quale, più di due secoli dopo, sarebbe nata la scienza galileiana. E sta di fatto che la tecnologia non è che un'applicazione della scienza galileiana.
Al facile riduttivismo scientificizzante odierno - che pensa esistere un'intelligenza artificiale, perché riduce noi stessi a delle macchine - può porre un limite, se articolata eticamente, solo la fondazione trascendentale delle scienze.
Noi esseri parlanti cogliamo solo in parte la verità, continuamente mescolata alla menzogna. Ciò nonostante, il vero e il falso non sono equivalenti, come non lo sono l'essere e il non essere, perché, come Platone fu il primo a capire, il vero, a differenza del falso, si sostiene sempre su qualcosa di Assoluto.